L’anima delle cose nell’antica Opitergium. Un viaggio fra i tesori lungo sei secoli. Oggetti e suppellettili romani rinvenuti in 30 anni di scavi a Oderzo in Mostra a Palazzo Foscolo e al Museo Archeologico.
Un bimbo gioca con il suo cavallino di argilla arancio rosato dotato di ruote per il traino, una matrona romana adornata con gioielli regge tra le mani uno specchio e tre corredi. Sono i due straordinari personaggi simbolo che accompagneranno i visitatori alla mostra “L’anima delle cose. Riti e corredi dalla necropoli romana di Opitergium” tra le sale di Palazzo Foscolo e del Museo Archeologico di Oderzo. Sei secoli di storia, dal I al VI secolo d. C., raccontati in un viaggio attraverso reperti inediti alla scoperta dell’antica Opitergium con i suoi abitanti e le loro consuetudini.
Per la prima volta è presentato al pubblico lo spaccato di una società attraverso i secoli: il mondo dei vivi riemerge così dalla città dei morti grazie alla singolare esposizione promossa e organizzata dalla Fondazione Oderzo Cultura – presidente Carlo Gaino – in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso e il Polo Museale del Veneto.
Anni di scavi, rilievi, documentazioni, restauri, studi che a partire dagli anni Ottanta hanno interessato vie, piazze, sottopassi del centro di Oderzo e portato alla luce 94 corredi dell’antica città romana rivelandone il suo glorioso passato.
Durante gli scavi in Via Spiné gli archeologi hanno portato alla luce nel 1986 una collana in onice, pasta vitrea, osso, argento; nel 2013 un coltello che fa supporre potesse far parte dell’equipaggiamento dei contingenti dell’esercito tardoromano, una bottiglia in vetro blu cobalto trasparente e bianco realizzata con la tecnica dello spruzzo o schegge applicate e una statuetta cava (genius cucullatus) dotata di pallina interna che la trasformava in sonaglio. In Via degli Alpini nel 1993 un pendente a sospensione con corpo a botticella e nel 1994 nella stessa via, un inedito: un anello chiave in bronzo. Importanti anche gli oggetti del corredo rinvenuti all’interno di una tomba tra il 1999-2000 nel sottopasso della Statale 53: oltre venti piccoli balsamari in vetro colorato deposti in origine in un contenitore di tessuto. Tra gli inediti dell’Opera Pia Moro una splendida collana in oro con infilate cinque coppie di laminette circolari decorate da baccellature di tradizione magno-greca, poi vasi, piatti, giocattoli, monete.
In bella mostra immersi nella luce del tempo antico e contemporaneo ben 50 corredi funerari su 94 suddivisi per tipologie di deposizione, incinerazione diretta e indiretta, inumazioni che sono stati selezionati e studiati da un apposito comitato scientifico composto dai funzionari della Soprintendenza che hanno coordinato le diverse campagne di scavo e da Marta Mascardi, conservatore del Museo archeologico di Oderzo. Le indagini archeologiche sono state effettuate dal 1986 al 2013 mentre la Regione e il Comune di Oderzo hanno finanziato il restauro dei reperti.
A ricordarlo, il sindaco e l’assessore alla cultura che hanno evidenziato un singolare aspetto. «A Oderzo l’archeologia è vissuta nel quotidiano; 30 anni di cantieri e di curiosità dove gli oggetti archeologici raccontano la storia di un territorio». I piccoli e antichi tesori hanno anima, sentimento, ricordo, emozionano e ora vengono restituiti alla comunità. Soddisfatto il Soprintendente Vincenzo Tiné che nel presentare il progetto ha sottolineato: «C’era un filo interrotto con l’archeologia. Con questa mostra viene valorizzata la galassia necropolare di Oderzo, comune virtuoso».